Archive for Marzo 2020

L’Italia ai tempi del Coronavirus: è tempo di silenzio. di Federico Traversa

C’é chi si incazza perché c’é ancora gente in giro, e chi perché ritiene ingiusto restare a casa. Chi soffre sentendo il peso delle limitazioni e chi se la vive come Jerry Calà in “Villaggio Vacanze”. Ci sono i media e i dottori a fare terrorismo alla tv, e sono pressoché gli stessi che un mese fa banalizzavano tutto all’urlo di “Dai é solo un’influenza”.

Si snocciolano i numeri, si fanno i grafici, si ipotizzano catastrofi.

“Ci stanno rubando la libertà, é l’anticamera del regime” dicono di qua.

“State a casa, coglioni, che se ci ammaliamo tutti é una carneficina” dicono di là.

Su watsup lo zio del cugino della moglie del cognato di tale ha ricevuto un vocale dalla cugina della sorella della madre di tizio che é virologo, e dice che il virus non te lo prendi se mangi 2kg di arance al giorno per un mese.

A patto che tu riesca a sopravvivere alla dieta, questo é sottointeso.

L’incubazione é di 14 giorni.

No sono 21.

Devi stare a un metro.

No a 4.

Il virus d’estate va via.

Macché si mette il costume e sguazza di naso in bocca.

Andra avanti 2 anni.

No in 20 giorni finisce.

È la natura che ci punisce per come trattiamo il pianeta.

Ma quando mai? L’hanno creato gli americani per fiaccare l’economia cinese e l’Italia ci é finita dentro per la storia della via della seta.

Ma non l’aveva passata un serpente in un mercato di Wuhan?

Quei cinesi mangiano di tutto, che schifo.

Ma stai zitto, che ci hanno salvato il culo con mascherine e tutto quanto.

Comunque muoiono solo i vecchi.

Seee, creditelo, mi ha detto una mia amica anestesista che ci sono un sacco di trentenni intubati. Sono morti pure ragazzi di 16 anni, siamo spacciati.

Ma avevano patologie.

No, erano sani.

Moriremo tutti.

Non morirà nessuno.

E comunque l’economia crollerà. Tra meno di un mese saremo tutti a svaligiare i supermercati. Bisogna riaprire tutto, sennó é la fine.

Chiudere chiudere chiudere, sennó ci contagiamo tutti e il sistema sanitario crollerà definitivamente.

È già crollato.

Non è vero, resiste.

Tu ce l’hai la mascherina? Quelle chirurgiche non vanno bene.

Sì che vanno bene

Mia moglie ne ha fatto una con la carta da forno.

Il virus è piccolo, passa.

No non passa, e comunque meglio che niente.

Comunque i casi sono almeno 10 volte di più e per la maggior parte asintomatici quindi la letalità é più bassa.

I morti in casa non finiscono nelle statistiche, é più alta.

Fratello prendila easy, si muore perlopiù col coronavirus, non di coronavirus.

Sciocchezze é il coronavirus che ti ammazza.

Oh ma il campionato? La Champions?

SILENZIO!

Ce la fate ad ascoltare un istante, uno solo, quanto é bello e aiuta il silenzio?

E poi, visto che non si possono trovare risposte là fuori, che ne dite di provare a cavalcare questo silenzio e vedere di trovare qualche piccola risposta dentro noi stessi?

Quando sulla superficie del mare infuria la tempesta e le onde sono alte, basta scendere in profondità di qualche metro e a poco a poco le acque si fanno silenziose, calme e tranquille.

Ripartiamo da questa tranquillità, da questo silenzio. Facciamolo per noi e per rispetto dei tanti che hanno perso la vita, per le loro famiglie decimate.

Tutto cambia, tutto muta. Tutto passa. Lo farà anche il Coronavirus.

Cerchiamo se possibile di imparare tutti qualcosa da questa brutta esperienza, partendo proprio dal ripensare il nostro atteggiamento e i nostri comportamenti verso il mondo.

Attraverso il silenzio plachiamo le urla e limitiamo il più possibile la paura.

Le scelte fatte nel chiasso, col terrore nelle orecchie e il timore negli occhi sono sempre irragionevoli.

E a noi, mai come adesso, serve coraggio e buon senso.

“Cari figli miei: due chiacchiere con i bambini ai tempi del Coronavirus” di Federico Traversa

Cari figli miei, cari bambini tutti.

Mi dispiace tanto e vi chiedo scusa.

Mi dispiace che ancora così piccoli dobbiate vivere tutto questo. Restare a casa tutto il giorno, senza andare a scuola, senza vedere i vostri amichetti, senza correre all’aperto, senza prendere a calci un pallone. E mi dispiace che ad ogni telegiornale dobbiate vedere la faccia preoccupata di mamma e papà quando sentono le notizie.

Vi abbiamo detto che è tutta colpa del Coronavirus, questo piccolo patogeno che sta facendo tanto male alle persone e se ce lo prendiamo sono guai.

Ma la nostra è un’affermazione parziale, vera solo in parte.

Quello che non vi abbiamo detto è che questo maledetto virus l’abbiamo invitato NOI in casa, gli abbiamo apparecchiato NOI la tavola e aperto NOI la porta. Lo abbiamo invocato come fanno quei ragazzini stupidi che giocano alle sedute spiritiche nei film horror, avete presente? Che poi quando arriva il demone scappano impauriti e finiscono per schiattare uno ad uno…

Come? Col nostro comportamento, il nostro scellerato modo di vivere, la nostra presunzione. La stupidità che ci porta a vivere ammassati in insalubri scatole di cemento che chiamiamo case, a mangiare porcherie, ad avvelenare animali, mari, terre. A vivere sempre più lontani da quella natura capace di regalarci la saggezza necessaria per abitare la vita e questo mondo.

Una stupidità che ci porta a sacrificare tutto in nome del profitto, a spendere milioni di euro in caccia militari e allo stesso tempo tagliare medici, strutture sanitarie e letti d’ospedale.

E quando davvero capita, come oggi, di doverci difendere da un nemico vero, si scopre che è talmente piccolo da non poterlo bombardare con i caccia e le bombe.

Ma serve altro. Servono letti, infermieri, macchine per l’ossigeno, dottori. Serve empatia, volontà, buon senso. Qualità che abbiamo dato via in cambio di qualche comodità e l’illusione della sicurezza.

Vi chiedo scusa bimbi miei, non meritavate di vedere certe scene: le urla, la paura, gli happy hour nelle ore della responsabilità, le stazioni prese d’assalto, l’ignoranza.

Ma non tutto il male viene per nuocere. Oggi ho letto un gran bella riflessione della psicologa Francesca Morelli.

Con saggezza la dottoressa sostiene che il cosmo, Dio, la legge naturale, chiamatela come volete, abbia il suo modo di riequilibrare le cose e le sue leggi quando vengono stravolte. E allora ecco che in un momento in cui il cambiamento climatico causato dai disastri ambientali è arrivato a livelli preoccupanti, il mondo è costretto a fermarsi. Certo l’economia malata che ci siamo creati crolla ma il livello d’inquinamento è sceso vertiginosamente in questi giorni e l’aria, mascherine a parte, è più respirabile.

Ma non è solo questo, la Morelli ci fa notare anche che in un’epoca dove fascismi, discriminazione e divisioni stanno soffiando il loro veleno in tutto il mondo, arriva un virus che mostra come tutti, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i non voluti, gli appestati.

Oggi che dobbiamo tutti stare a casa e occuparci direttamente noi dei nostri figli – senza delegare ad altri il compito di farlo, senza correre per arricchire qualcun altro nella speranza di arricchire noi stessi – stiamo poi riscoprendo cose che credevamo perdute, a partire dalla lentezza. Una lentezza funzionale alla vita, che ci fa pensare, gustare il panorama (seppur dalla finestra) e riflettere.

Capite figli miei?

A volte l’universo si comporta come un padre severo e ci impartisce delle lezioni molto dolorose, che ci fanno soffrire. Ma da cui si può, anzi si deve, imparare qualcosa.

Mi dispiace la punizione sia arrivata adesso che siete ancora così piccoli, da poco aperti alla vita, ma due cose mi fanno ben sperare. La prima è che voi bambini siete la categoria meno colpita, e mai in maniera letale, come se l’universo sentisse che non siete certo responsabili di tutto questo. Quindi tranquilli, avrete tutto il tempo per ripartire.

La seconda è che questa esperienza vi insegnerà molte cose, di quelle fondamentali, che se le assimili da piccolo non le scordi più da grande.

La più importante? Che nonostante in molti dicano il contrario se si rallenta non succede niente. Se il mondo va più piano non casca. Si respira solo un po’ meglio. Fatelo a pieni polmoni. E da questa lentezza bella, che aiuta a ragionare, costruite un mondo del futuro più giusto.

Non vedo l’ora di vedervi tornare a correre.

La medium, gli aerei vuoti, Maccio Capatonda e il covid-19: Cronache dal mondo del coronavirus di Federico Traversa

In tempi di emergenze, la sostanza degli esseri umani viene fuori in tutta la sua spontaneità. Quando c’é di mezzo la pellaccia le maschere si staccano dai volti, spinte verso terra dall’agitazione, e quello che siamo si svela senza filtri né censure.

Da una decina di giorni ormai, il Coronavirus ha svelato con una virulenta alitata alcune tipologie di persone e schemi di comportamento del nostro amato popolo italiano. 

Ci sono i responsabili, gente che, per dire, segue le direttive del governo ed esce poco di casa, evita i posti affollati, si lava spesso le mani ed ha eliminato i contatti ravvicinati con il prossimo. E se per caso sospetta di essere entrato in contatto col virus si barrica in casa per timore di contagiare qualcuno. I responsabili usano i social con moderazione, condividono solo le interviste dei virologi meno estremisti e nascondono la paura con un certo aplomb.

C’é chi, invece, fa l’esatto opposto e all’urlo di “ma che me ne fotte a me” si trasforma nello straordinario Maccio Capatonda di Italiano Medio. E allora esce, va in mezzo al casino, ti parla a due centimetri dalla faccia, si lava le mani solo quando piove, appoggia le labbra sui tavolini dei bar per misurare la temperatura della plastica e, se deve starnutire, prende la rincorsa, mani dietro la schiena e via. Tanto “che me ne fotte a me” . E se per caso gli tocca la quarantena? “Minchia, tutti a sciare che tanto è solo un’influenza!”.

Ci sono gli anziani terrorizzati che pregano che qualcuno gli faccia la spesa e non usciranno fino a ferragosto, e quelli arzilli e combattivi stile Space Cowboys che invece fanno tutto e anche di più perché, se son sopravvissuti all’asiatica, “a me chi m’ammazza”. 

Ci sono i ragazzini che limonano tutto il giorno e quelli che non limonano più. 

Quelli che “tanto é tutto un complotto ne fan morire ancora un po’ e poi esce il vaccino che già c’é, lo tengono lì per guadagnarci di più”. 

Quelli che “tanto muoiono solo i vecchi e i malati”, e quelli che invece no, “é un virus terribile e ci fotterà tutti”. 

Quelli che pregano e quelli che bestemmiano. Quelli che hanno paura e quelli che ‘m’porta sega’.

I virologi della domenica e i direttori sanitari del lunedì.

Fosse vivo Rino Gaetano riscriverebbe il ritornello della sua hit: “Ma il coronavirus ci rende tutti più blu”

Oggi per la strada ho visto scene surreali, una mescola di atteggiamenti diversi che stridevano come uno che indossa il cappotto con bermuda e infradito. Mi spiego meglio: vado dal medico curante per farmi scrivere le medicine di mia mamma e c’é un cartello con scritto che per via del Covid-19 il dottore riceverà solo su appuntamento. Le scuole intanto sono tutte chiuse, mio figlio il grande non va all’asilo da un bel po’. Camminando becco due con la mascherina sulla faccia, insomma tutti segnali di una severa emergenza. Poi giro in un vicolo ed ecco una ludoteca. Aperta, con bambini che saltano e ballano tutti insieme al chiuso.

Altri dieci metri ed ecco gente ammassata al bancone di un bar, altro che un metro di distanza, nemmeno 20 cm. Per non parlare di un gruppo di rubicondi anziani che, davanti a vino e focaccia, si sfidano in una briscolata all’urlo di “in culo agli dei”

Però la farmacia di fronte chiede ai clienti di entrare massimo due alla volta e ha finito disinfettante per le mani e mascherine.

Leggo poi che molti cantanti stanno continuando a fare i firmacopie dei loro cd nelle varie Feltrinelli o Mondadori che sia.

Ma che cazzo sta succedendo? 

È un film di Fantozzi o una puntata di C.S.I.?

La Peste di Camus o Il Medico della mutua?

Noi italiani siamo incredibili, nel bene o nel male, e lo saremo sempre.

Ma anche nel resto d’Europa non vedo aquile. Ecco, a proposito di voli, su Whats App ricevo un link a un articolo parecchio inquietante: le compagnie aeree stanno consumando migliaia di litri di carburante per far volare aerei vuoti! Il motivo? Nascosto dentro le logiche economiche del nostro pazzo mondo, quelle che ci stanno facendo fracassare contro un muro. Le norme europee in vigore prevedono per le compagnie aeree che operano fuori dal continente di continuare a gestire l’80% delle rotte di volo a loro assegnate, altrimenti devono cederle ad altre, il che vuol dire che non si possono lasciare gli aerei fermi a terra ma vanno fatti volare anche se sono vuoti. Lo so, lo so, piccola Greta, fa più male a me che a te, ma questo è quanto.

Tornato a casa la mazzata finale me la da un amico su facebook che mi spedisce lo screenshot di una pagina del libro di tal Sylvia Browne, professione medium, ma di classe.

Nel suo “End of the Days” (in Italia è uscito col più rassicurante titolo “Profezie”), datato 2008, la Browne scrive: “Entro il 2020 diventerà prassi indossare in pubblico mascherine chirurgiche e guanti di gomma a causa di un’epidemia di una grave malattia simile alla polmonite che attaccherà sia i polmoni sia i canali bronchiali e sarà refrattaria a ogni tipo di cura. Tale patologia sarà particolarmente sconcertante perché dopo aver provocato un inverno di panico assoluto sembrerà scomparire per altri dieci anni, rendendo ancor più difficile comprendere la sua causa e la sua cura”. 

E con la profezia della medium per oggi chiudo le trasmissioni; spero di superare i prossimi due mesi e di rivedervi tutti al mare.

Un bagno a maggio, quest’anno, é doveroso. 

La storia ci ha barrato con una X, Generazione X: cari anni 90 vi scrivo…

di Federico Traversa

Tutto iniziò con Beverly Hills 90210, che sarà stato stupido, vuoto e patinato quanto volete ma ha innegabilmente aperto le porte a un nuovo genere televisivo che ci torturerà negli anni a venire: il teen drama – per dirlo in modo figo, all’americana – o più semplicemente le serie televisive a puntate per ragazzi. Costruita sul modello delle telenovela sudamericane per casalinghe annoiate, moderatamente aperta nell’ affrontare tematiche attuali, seppur trattate con manate di vasellina e politically correct, BH 90210 ha segnato un paio di generazioni agli inizi degli anni novanta, compreso quella del sottoscritto. Classe 1975, vidi la prima puntata che non avevo nemmeno 16 anni e mi fece del male, visto che da allora tarai il pivello che ero sulle fattezze del bello e scorbutico Dylan McKay, una specie di James Dean ricco e problematico portato sullo schermo dal bravo e sfortunato attore Luke Perry. Capitemi, allora si andava in discoteca di sabato pomeriggio e la cosa più eversiva che si faceva era incollare il citofono del vicino calabrese del primo piano, un ex carabiniere in pensione, che ci bucava il pallone quando finiva sul suo terrazzo. Ero conteso da due ragazze in quel periodo, dolci e bellissime entrambe. Una era scura, l’altra bionda. Proprio come Dylan nel telefilm. E proprio come lui scelsi la bionda. Lo so, lo so, da rabbrividire quanto mi facevo coglionare dalla tv. 

A staccarmi di dosso un po’ di patinatura, ci pensarono il cinema, i libri e la musica. A partire da “The Doors” di Oliver Stone, che mi presentò  Jim Morrison.  Il Re Lucertola spazzò via McKay in meno di un’estate e diventò la mia fonte d’ispirazione per la vita. Grazie a Jim, e alla sua scapestrata biografia ‘Nessuno Uscirà Vivo di qui’, scoprii l’amore per la poesia, la letteratura, Rimbaud, Baudelaire, Castaneda, la beat generation, e decisi che nella vita avrei fatto lo scrittore. E l’ho fatto, ragazzi. Ok, non sono diventato Bukowski ma ci campo con un certo stile.

Impossibile non citare poi, nella mia formazione artistoide, Twin Peaks, innovativo capolavoro di David Lynch, una serie capace di segnare per sempre un’epoca. 

Alla voce disimpegno, invece, come dimenticare il Karaoke e quegli anni in cui folletto Fiorello fece credere agli italiani che anche senza il mandolino restavamo un popolo di cantanti. Oppure Non é la Rai, che invece ci ricordò che siamo sempre stati, e sempre saremo, un popolo di eterni segaioli. Già che si fa riferimento a Onan, meritano una citazione i culi al vento delle 18e30, quando su Italia 1 andava in onda Baywatch di Pamelona Anderson. E anche gli agghiaccianti balletti sexi di Spice Girls et simili. 

Stasera la mia mente torna a quelle mattinate in giro, a saltare scuola appena possibile per gli scioperi o l’occupazione, ai bombardamenti nato sul’Iraq, alla guerra che  per la prima volta arrivava in diretta televisiva. Craxi, tangentopoli, l’arrivo di Berlusconi, il Milan di Capello che vinceva molto ma stava sulle palle a tutti. Le domeniche allo stadio, noi sempre in uniforme: bomber, dr Martens, jeans strappati e sciarpa d’ordinanza. La camicia, il maglioncino a righe e il montgomery solo per entrare in discoteca. 

E ancora: i film horror in vks affittati il sabato pomeriggio in videoteca, le playlist, che allora chiamavamo compilation, che facevi alla tipa che ti piaceva e dove non potevano mancare canzoni come Waves of Change degli Scorpions, Don’t Cry dei Guns e Home Sweet Home dei Motley Crue. Ma anche Vivere o Senza Parole del Blasco. E sto citando proprio le più ovvie. Senza scordare il wrestling commentato da Dan Peterson, le puntate di Willy Superfigo di Bel Air, di Casa Keaton, dei Robinson, fino ai concerti bubblegum, ma indimenticabili, di Michael Jackson. Cosby e Jackson: il papà buono che tutti avremmo voluto avere e lo zio strambo e pieno di talento che amava i bambini. Avessimo saputo cosa c’era dietro… 

Poi arrivarono i Nirvana, e Kurt Cobain spazzò via la paura di noi ragazzi di mostrarci per quello che eravamo di fronte a un mondo che stava cambiando. All’improvviso far vedere le proprie debolezze, la propria rabbia e la propria paura non era più oggetto di vergogna come per il macho anni ottanta ma qualcosa che si poteva, anzi doveva fare.

Intanto tutto si stava contaminando, tutto cambiava, gli steccati fra i generi crollarono come castelli di carte vecchie. Il fenomeno dei rave invase le nostre notti, a livello mainstream si affermarono proposte musicali inusuali quali Prodigy, Moby, Fatboy Slim o i Chemical Brothers. Il rock inglese invece si vestiva di vintage e, ribatezzatosi brit pop, proponeva moderne versioni di Beatles e Rolling Stones con gruppi tipo Oasis, Blur, Verve, Stone Roses e così via.

Lontano dal mondo dei rave per una radicata idiosincrasia verso l’insopportabile cassa dritta e mai stato troppo affascinato dai Fab Four – figurarsi i loro cloni – trovai rifugio nella mescola che odorava di contaminazione, nei libri e nei film: Manu Chao, il movimento delle Posse, il gansta rap di Pac e Biggie, i reportage di viaggio di Terzani, The Beach di Alex Garland, vera bibbia per chi in quegli anni virava verso l’Asia, lo schiaffo di Palhaniuk in Fight Club, la carezza pop di Nick Horby con Alta Fedeltà, la siringata di poetico disgusto del Welsh di Trainspotting e Colla, o le botte di John King col suo Fedeli Alla Tribù. Ovviamente tutto Bukowski, e poi John e Dan Fante. Il Brizzi imbastardito di Bastogne e Tre Ragazzi Immaginari. Andrea De Carlo. Gli incubi up-class di Brett Easton Ellis e quelli profumati di minimalismo yuppie di Jay McInerney. I diari di basket del grande Jim Carroll, le illuminazioni tornate attuali di Hesse in Siddharta. E come dimenticare il caschetto scazzato e i pantaloni over size di Natalie Imbruglia, i Red Hot Chili Peppers di Under the Bridge, i film di Gus Van Sant, i surfisti fuorilegge di Point Break, e poi Intervista col Vampiro, i dialoghi surreali di Pulp Fiction, la scena underground italiana che diventa mainstream: Subsonica,  Afterhours, Africa Unite, Prozac + (che la terra ti sia lieve Elisabetta Imelio), Esa, Bluvertigo, Sottotono, ecc. E poi Leo di Caprio che fa Romeo recitando Shakespeare in camicia hawaiana, l’ugola delicata di Jeff Buckley, quella consapevole di Ben Harper, oppure i video degli Aereosmith con Alicia Silverstone e Live Tyler. 

Non puó piovere per sempre” diceva il martire Brandon Lee nel Corvo. 

Io sono ancora vivo” rispondeva Eddie Vedder nell’iconica Alive dei Pearl Jam. 

Ma vi ricordate?

Quanto si era belli, puri, appassionati, difettosi e fragili allora. Tanto tanto fragili. Non era neanche tutta colpa nostra. Eravamo una generazione brutalmente schiacciata, presa in mezzo tra la naufragata illusione che il capitalismo made in Usa ci avrebbe resi tutti ricchi degli ottanta, e la certezza che nel nome di quella falsa illusione  ci avevano fregato persino la sedia da sotto il culo dei 2000 and more.

La storia ci ha barrato con una X, Generazione X, come il bel libro di Douglas Copeland. E così verremo trasmessi ai posteri. 

Oggi di quello strano decennio restano solo i nostri ricordi, frammenti confusi, raffreddati dagli anni, di un momento che é stato veramente nostro giusto il tempo di uno sputo. Atterrato neanche troppo distante. 

Ma Cristo di un Dio se ne é valsa la pena…