L’ultimo valzer – Un ricordo di Pau Donés degli Jarabe de Palo

Oggi si è spento Pau Donés, deux ex machina degli Jarabe de Palo.

Quando lo scorso aprile è riapparso dopo più di un anno di silenzio assoluto, ho capito che era tornato per un ultimo delicato valzer prima dei saluti. Magrissimo, sciupato, provato oltre l’immaginabile, eppure affascinante come e più di sempre, Pau ci ha mostrato fino all’ultimo che anche le malattie più terribili si possono affrontare senza lasciarsi spegnere il sorriso sulle labbra.

Be here Now, essere qui adesso, dicono i mistici orientali; che vuol dire controllare le proprie paure sul futuro e i propri rimorsi o rimpianti relativi al passato. I maestri spirituali lo consigliano da secoli ma è molto più facile a dirsi che a farsi, perlomeno per noi uomini comuni. Quasi impossibile se si soffre di una malattia incurabile alla quale, statistiche alla mano, sopravvive solo il 20% dei malati sulla distanza dei cinque anni.

Eppure c’è chi ci riesce, chi trova la forza e l’equilibrio per non sprecare nemmeno un secondo del tempo che gli resta e va avanti a giocare con la vita, ride in faccia alla morte e si gode il presente al meglio delle proprie possibilità.

Ed è così che ha fatto Pau, sin da quel maledetto pomeriggio dell’agosto 2015 quando, di ritorno da un lungo tour in Sud America, gli viene diagnosticato un tumore al colon con metastasi al fegato.

D’altronde una vita sulle montagne russe la sua lo è sempre stata, un costante alternarsi di successi e difficoltà.

Catalano purosangue, nato nel comune spagnolo di Montanuy, comunità autonoma dell’Aragona, l’11 ottobre del 1966, allo start della vita non parte benissimo. Dislessico, iperattivo, perde la mamma morta suicida a sedici anni e rimane da solo con il papà, due fratelli e una sorella più piccoli. Di colpo è costretto a farsi uomo, vietato perdere tempo. Eppure non si abbatte, si rimbocca le maniche e fa tesoro del suicidio della mamma per convincersi ancor più del fatto che la vita sia un bene prezioso e non vada mai sprecato. Senza considerare che prima di andarsene lei gli regala una chitarra elettrica e… niente, ciao, il futuro è scritto anche se allora ancora non lo sa.

Pau si impegna nello studio, lavora il doppio per via della dislessia, ma alla fine si laurea all’Università di Barcellona in Scienze Economiche Aziendali, più per far contento papà che per reale vocazione imprenditoriale. E infatti raccolto il pezzo di carta brucia i libri e si dedica a quello che davvero ama: scrivere canzoni che facciano star bene la gente e poi cantarle.

Mentre si mantiene lavorando in un’agenzia pubblicitaria, nascono gli Jarabe de Palo, che fanno centro già col primo disco, La Flaca; l’omonima canzone, un blues latino che racconta lo struggimento di Pau per una tremendissima mulata incontrata nella magica isola di Cuba, si trasforma in un successo mondiale e lancia il gruppo nel gota dei musicisti latini.

Con gli anni il suono si ammorbidisce, le sfumature stilistiche aumentano ma l’esito continua a mantenersi stabile, disco dopo disco.

Anche qui da noi Pau e i suoi vengono accolti a braccia aperte, un successo mainstream che li porta a esibirsi al Pavarotti and Friends e a collaborare con un altro maestro del pensiero positivo come Jovanotti.

Canzoni come Bonito, Depende, Agua, solo per citare le prime che mi vengono in mente, sono certo sappiano canticchiarle almeno tre italiani su quattro

Nel frattempo Pau fa una figlia, crescendola con tanto amore, gira il mondo, per un po’ abita a Berlino, sempre di corsa, sempre desideroso di vivere al massimo. Le tante estati a Formentera, i piatti di pesce al Quiosco Anselmo, un chiringuito de puta madre, le scalate in montagna, i concerti infiniti in tutto il mondo, la musica, immancabile e fedele compagna di una vita. Una vita sbranata, dicevamo, fino a quel maledetto pomeriggio di agosto, la diagnosi maledetta, le operazioni, la chemioterapia, una lunga riabilitazione piena di speranza. Già perché dopo l’operazione e le terapie quel bastardo di un cancro sembra sparito, e quando per i 50 anni esce il libro e il disco 50 Palos (un doppio album dove Donés duetta con tanti volti noti della musica italiana, dall’amico Jovanotti a Francesco Renga passando per Noemi e Kekko dei Modà…) lui posta una foto bellissima dove sorridente – una maglia dei Velvet Underground, le braccia aperte come ali sul mare blu e il sole caldo sul viso – dichiara al mondo di essere libero dal cancro.

Ma quella libertà dura poco, e ben presto la bestia ritorna.

Lo incontro brevemente a Bologna circa due anni fa, già sciupato ma ancora in forma, purtroppo la prevista intervista salta all’ultimo per un disguido. Conto di recuperarla al successivo concerto italiano, ma poi Pau peggiora e arriva l’inattesa chiusura di ogni attività e di tutti i social degli Jarabe de Palo; consapevole del poco tempo rimasto, Pau legittimamente sceglie di dedicare ciò che gli resta da vivere agli affetti veri, alla figlia Sara…

Il ritorno a sorpresa qualche mese fa, in piena emergenza Covid, lui e la sua chitarra sul terrazzo del nuovo appartamento di Barcellona, la faccia scavata dalla malattia ma il sorriso bellissimo dei giorni belli.

Un nuovo disco, Tragas o escupes, esce a sorpresa il 26 maggio. E qualche giorno prima un ultimo singolo, Eso que tu me das, leggero e allegro come da tradizione, nel cui video Pau canta con la consueta forza e sorride, e gioca con la vita, ancora e ancora, indicando a tutti una strada anche quando tutto dentro di noi, stavolta letteralmente, sta cadendo a pezzi. E intorno a lui e alla band balla la sua adorata Sara, bellissima nei suoi sedici anni, il viso celato da una maschera gentile.

Niente dura per sempre, niente rimane uguale a sé stesso per più di un secondo e quanta tristezza quando le persone belle e pulite lasciano questo mondo.

Ciò detto è molto meglio perdersi che non essersi mai incontrati.

Ciao Mr Pau, grazie di tutto. Ultimo valzer compreso.

Federico Traversa

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