di Federico Traversa
C’è un bellissimo video di una ventina di secondi che gira sui social in questi giorni: l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama sta uscendo da una palestra con il suo staff quando qualcuno gli passa un pallone da basket. Senza pensarci troppo Obama prende il pallone, fa due palleggi e realizza un meraviglioso canestro da tre punti, tra il giubilo dei presenti. A quel punto, senza fermarsi e continuando a camminare di buon basso verso l’uscita, si abbassa la mascherina e urla: “That’s what I do” prima di lasciar esplodere una bella risata. Fine. La fotografia di un istante efficace come mille comizi, d’altronde Obama è sempre stato un maestro nell’arte di comunicare. E questo è solo uno dei mille modi con cui l’unico cavallo di razza – di quelli davvero capaci di spostare qualche milione di voti – del Partito Democratico sta cercando di tirare la volata al candidato Joe Biden, che nonostante il discreto vantaggio nei sondaggi, non sembra aver acceso completamente l’immaginario del popolo americano. Sarà l’età, l’eccessiva prudenza o la dialettica non troppo briosa, fatto sta che Joe sembra più il male minore dettato dalle contingenze che l’uomo in grado di cambiare le cose. Probabilmente, visto il disastro combinato in questi quattro anni dalla scriteriata amministrazione Trump, questo dovrebbe bastare per cambiare inquilino alla Casa Bianca, eppure fra i democratici la paura serpeggia, in particolare dopo quanto successo nella scorsa tornata elettorale, con l’inaspettata sconfitta della Clinton.
Non si respira grande entusiasmo per il vecchio Biden, insomma, e in molti sostengono che, se come sembra alla fine ce la farà, sarà solo grazie alla disastrosa gestione della pandemia di Trump e soci.
Eppure, al netto di un’età effettivamente un po’ troppo importante – sua come del candidato repubblicano (Biden va per i 78 anni, Trump ha superato la boa dei 74 lo scorso giugno) – il curriculum di Joe parla decisamente a suo favore; senza dimenticare come le tante disgrazie subite da quest’uomo sfortunato lascerebbero supporre una sensibilità e un’empatia verso il prossimo tipiche di chi affronta e supera certe terribili tragedie.
Originario di Scranton, in Pennsylvania, dopo essersi laureato in Giurisprudenza all’Università di Syracuse, Biden si è ben presto affermato come avvocato.
Ad appena trent’anni arriva il lutto che ne segnerà l’esistenza: la moglie e la figlia muoiono in un incidente stradale, con gli altri due figli della coppia che rimangono feriti. Joe li tirerà su da solo, risposandosi solo nel 1977 con Jill Tracy Jacobs, dalla quale avrà la figlia Ashley.
Politicamente la carriera del candidato democratico è stata lunga e costruita con certosina pazienza: eletto per la prima volta senatore per il Partito Democratico nel 1972, manterrà continuativamente l’incarico per ben 37 anni.
L’apice della sua carriera arriva durante l’amministrazione Obama, che nel 2009 lo nomina vicepresidente degli Stati Uniti, riconfermato anche dopo le elezioni del 2013.
Il 12 gennaio 2017, in uno degli ultimi atti della sua amministrazione, sempre Obama gli assegna la Medaglia Presidenziale della Libertà, la massima onorificenza del Paese, definendo Biden “un leone della storia americana e un esempio per le generazioni future“.
E fino a qui tutto bene, parafrasando il film “L’Odio”.
Ora veniamo alla voce scandali, che si sa, quando ti candidi a Presidente qualcosa viene fuori per forza.
Il nodo più spinoso per il buon vecchio Joe è rappresentato dallo scapestrato secondogenito Hunter. Tutto incomincia nel maggio 2019 quando il New York Times pubblica un articolo dove si accusa Joe di aver chiesto ai leader politici ucraini di rimuovere dall’incarico il procuratore generale Viktor Shokin, che in quel periodo sta indagando su presunte irregolarità compiute da Burisma Holdings, l’azienda ucraina di gas naturale nella quale opera Hunter, con un posto nel consiglio di amministrazione. Secondo il Times, Joe avrebbe minacciato di trattenere un miliardo di dollari di garanzie sui prestiti elargiti dagli Stati Uniti all’Ucraina. Stranamente poi, Shokin si dimette e storia finita.
Va detto che le accuse rivolte a Joe Biden non sono mai state confermate da prove certe e Hunter si è dimesso dal suo incarico presso la Burisma Holdings nell’aprile del 2019, e cioè prima che il padre si candidasse alle elezioni presidenziali.
Ma non è finita qui: nell’agosto del 2019, un agente della Cia presenta alla Camera dei deputati statunitense un documento in cui rivela i dettagli di una telefonata datata 25 luglio 2019 fatta da Trump al presidente ucraino Volodimir Zelenskij. In quell’occasione testa di arancia chiede più volte di aprire un’inchiesta per corruzione ai danni della Burisma Holdings, offrendo in cambio 391 milioni di dollari di aiuti militari all’Ucraina. La rivelazione costa a Trump l’avvio da parte della Camera della procedura di impeachment, con l’accusa di abuso di potere e ostruzione al Congresso. Assolto, l’uomo che ipotizzava di curare il Covid con iniezioni di disinfettante, continua da allora ad attaccare Biden per la “questione ucraina”.
Speculazioni a parte, il cinquantenne Hunter non è esattamente un esempio di figlio modello, con problemi di alcolismo, droga e relazioni extraconiugali. Per carità, niente di tanto diverso da almeno il 50% dell’occidentale medio, ma comunque non certo comportamenti di cui vantarsi. Ma non è lui il candidato presidente, è suo padre, sul cui comportamento, almeno fino ad ora, non si è trovato molto sui cui speculare.
Sono uscite voci di comportamenti inappropriati con quattro donne ma, al contrario della questione ucraina che tutt’ora rimane dibattuta, non è emersa alcuna testimonianza credibile né prove di alcun comportamento inadeguato da parte di Joe.
Lucy Flores, ex candidata democratica come vice governatrice del Nevada, ha accusato Biden di averla toccata in modo inappropriato durante un comizio elettorale nel 2014. Su The Cut la donna ha precisato che il comportamento di Joe non è stato violento né sessuale ma “vistosamente inappropriato e snervante“.
E cosa avrà mai fatto il vecchio Joe? Stando al racconto della donna, le avrebbe appoggiato le mani sulle spalle dandole un bacio dietro la testa. Una roba che qui da noi, abituati al Silvio style e ai bunga bunga fa quasi sghignazzare. Definirei queste esternazioni “il lato oscuro del #metoo” o, più criticamente, il modo con cui il potere sta cercando di ridicolizzare il legittimo e sacrosanto movimento femminista contro gli abusi sessuali.
E quindi?
Al netto dei colpi bassi, i violenti dibattiti televisivi e il legittimo sospetto che a certi livelli il più pulito abbia quantomeno la rogna, mi auguro che vinca Biden, e me lo auguro tanto per gli amici americani quanto per noi, che siamo direttamente collegati, volenti o nolenti, a quanto accade laggiù; l’attempato candidato democratico non sarà perfetto, forse è poco brillante, ma perlomeno rappresenta quei valori progressisti che guardano all’allargamento dell’assistenza sanitaria (se oggi molti americani sono vivi lo devono all’Obama Care, e questo nonostante sia assai migliorabile e ancora barbaro rispetto a molti paesi europei), alla tutela dell’ambiente, alla questione climatica, tutte priorità che dovrebbero essere alla base di un mondo più giusto, equo e libero. Certo, sarebbe stato meglio se al posto di Biden ci fosse stato Bernie Sanders, con la sua visione innovativa e rivoluzionaria, ma sarebbe stato davvero chiedere troppo. Un socialista alla Casa Bianca? Ma stiamo scherzando!!!
Quindi accontentiamoci di Biden e speriamo possa sconfiggere Trump, e che lo faccia nettamente nel nome dell’intelligenza. Non è più ammissibile vedere un simile idiota seduto sul trono della più grande super potenza del mondo. Un miliardario gretto, seppure astuto, che in 4 anni è stato capace di sdoganare definitivamente l’ignoranza, l’odio, la stupidità, le bugie eclatanti e il parlare a vanvera, trasformando tali deprecabili atteggiamenti in note di merito sociale.
Uno così ignorante da non conoscere l’antico motto dell’Ordine degli Assassini – Niente è vero tutto è permesso – ma comunque in grado di applicarlo a meraviglia.
Uno che ha fatto proseliti rafforzando e legittimando quell’ultra destra qualunquista, ignorante e becera, che qui da noi ha trovato collocazione e rappresentanti nei vari Salvini, gilet arancioni, negazionisti del Covid e tutto quell’assortimento di nuovi mostri che stanno imbruttendo il mondo, una cazzata alla volta. E ora iniziano a essere tante.
Per questo dobbiamo tutti sperare che quel canestro magistralmente messo a segno da Obama nel video virale di cui parlavo all’inizio, si realizzi anche il prossimo 3 novembre.
That’s what I Do.
Ecco, fallo anche stavolta, Barack!
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