L’incredibile storia di Falco, il Mozart del pop che visse a 1000 all’ora

di Federico Traversa

La sua Der Kommissar è stata forse la prima canzone che ho canticchiato con talmente tanta insistenza da beccarmi una nota in classe. Il problema è che non riuscivo a smettere, quel “po po po” mi frullava a random nella testa e il tipo con gli occhiali scuri che cantava quel brano era troppo curioso e affascinante agli occhi del ragazzino di seconda elementare che ero.

Lui si chiamava Falco, ed effettivamente era parecchio diverso dagli altri. Intanto non era inglese o americano, come la maggior parte dei musicisti che affollavano le classifiche. Veniva dall’Austria, patria di grandi compositori classici ma non certo di popstar. Vestiva elegante, ispirandosi smaccatamente al Bowie della trilogia berlinese, con i capelli scuri impomatati, gli immancabili occhiali da sole e le barre in tedesco quando nessuno in Europa sapeva cosa fosse il rap.

Un tipo davvero singolare, che seppe catturarmi completamente, come sapevano fare i tipi più incredibili, quelli che quando passavano in tv non potevi fare a meno di guardare, come il Michael Jackson che ballava indemoniato in Thriller, i dreadlocks di Marley che ondeggiavano sul prato di San Siro o i Righeira e le loro giacché colorate che cantavano di andare alla spiaggia mentre scoppiava la bomba atomica.

Cristo se erano strani gli anni Ottanta.

Falco mi stregò già dal nome, figo come pochi. In realtà si chiamava Johann Hans Hölzel e si era ribattezzato Falco dopo essersi trasferito nella zona ovest di Berlino a vent’anni per cercare di sfondare con la musica. Nella città tedesca rimase stregato dalle gesta del celebre saltatore con gli sci Falko Weibflog, così sostituì la K con la C e decise che quello sarebbe stato il suo nome d’arte. Da quel giorno pretese di essere chiamato così da tutti, pure da sua madre, che si ostinava a chiamarlo ancora col nomignolo di Hansi, con suo grande disappunto.

Chiariamolo subito, questo ragazzone dai capelli scuri e lo sguardo penetrante non era un tipo semplice. Parliamo di un soggetto bizzarro, estroso e molto egocentrico, una vera “diva” che poteva fermarsi a teorizzare per ore sul modello di mocassini di coccodrillo visti indosso a un collega oppure parlare di sé in terza persona, ma parliamo anche di un musicista dotato, simpatico, generoso e divertente. Il Falco che ti trovavi davanti, probabilmente, dipendeva tanto da come si svegliava quanto da cosa aveva fatto la sera prima.

Musicalmente era molto preparato, nella casa in cui crebbe c’era un pianoforte e lui cominciò a suonarlo da piccolissimo. Per un periodo frequentò anche il conservatorio, anche se ben presto preferì il basso al piano, che imparò a suonare durante il servizio militare.

Nel 1977, a vent’anni, dopo qualche lavoretto saltuario, Hansi salutò la famiglia e si trasferì come detto a Berlino. Di lavorare manco a parlarne, lui accettava una sola possibilità nella vita: essere una star, come David Bowie, uno dei suoi più grandi idoli.

Nella città tedesca le sue notti erano lunghe e le giornate assai brevi.

All’epoca girava anche un’altra teoria sul perché avesse deciso di farsi chiamare Falco, sapete? E in questa storia si parlava di notti fumose, locali fatiscenti, drogaggi vari e un amico italiano distrutto dall’eroina che al termine dell’ennesima notte di devasto si girò verso il nostro, ancora in piedi e in discreta forma, e gli disse: “Tu te la caverai sempre, tu voli alto, sei come un falco“.

Rientrato a Vienna, Hansi – pardon, Falco – militò per un paio d’anni in uno strambo gruppo d’avanguardia, gli Hallucination Company, con cui ottenne un discreto seguito locale.

Secondo l’amico e compagno di band Wickerl Adam: “Falco era sesso, droga e rock n’roll in abiti Versace”.

Con un altra band, dall’attitudine più rock e politica, gli Drandiwaberl, in cui suonava il basso e all’occorrenza cantava, Falco incassò il suo primo successo come solista; compose infatti il brano Ganz Wien (Tutta Vienna), che era solito eseguire come riempitivo da solo ai live durante le pause del gruppo. La canzone parlava, con il consueto humour tipico di Falco, di come tutti nella capitale austriaca si facessero di coca e, manco a dirlo, venne boicottata dalle radio austriache. Eppure servì a fargli ottenere un contratto per tre dischi solisti con la Gig.

Ad affiancarlo, l’etichetta gli mise un produttore che aveva già macinato alcune hit. Si chiamava Robert Ponger e passò subito a Falco una strumentale strana, che occhieggiava alla dance ma anche a un suono più martellante, diverso, quasi black per non dire funk, una base sulla quale era difficile cantare. E infatti il cantautore austriaco Reinhold Bilgeri, per cui la base originariamente era stata pensata, la scartò schifato.

Falco all’inizio era dubbioso, per lui il singolo da registrare subito doveva essere Heiden von Heute, che gli era stata ispirata da Heroes dell’amato Bowie.

Tenne comunque la canzone con sé qualche giorno poi, prendendo spunto dal commissario Kottam, una celebre serie TV poliziesca austriaca in cui aveva recitato in un episodio, buttò giù il testo.

Se era impossibile cantare su quei ritmi lui decise, anticipando i tempi, di rapparci sopra, lasciando il cantato solo nel ritornello.

Der Kommissar venne terminata in pochi giorni diventando un successo clamoroso. In Austria, Francia, Germania, Italia, Spagna e via via in tutta Europa. Complice la spinta di Afrika Bambaata, che la suona nei club neri della Grande Mela, la canzone entrò in classifica persino in America, raggiungendo il settantaduesimo posto, una cosa inaudita per un brano cantato in tedesco. Era successo soltanto una volta, nel 1975 con Autobhan dei Kraftwerk.

Trascinato dal singolo delle meraviglie, anche l’album di debutto –Einzelhaftsvettò nelle chart, vendendo oltre sette milioni copie.

A quel punto Falco era ormai una star. Ma quel successo pretese dazio, un dazio pesante. Hansi, già egocentrico e incasinato di suo, si trovò spiazzato dall’improvvisa fama e la gestì nel peggiore dei modi possibili. Droghe, alcool, psicofarmaci, relazioni di una notte, follia.

Preda di deliri di onnipotenza, paranoia ma anche di un’integrità artistica che naturalmente lo portava ad alzare sempre l’asticella, realizzò il suo secondo attesissimo disco fregandosene di cercare un singolo potente come Der Kommissar. Inoltre scelse di continuare a cantare in tedesco nonostante tutti gli suggerissero di provare con l’inglese, in modo da sfondare anche in quel mercato, e lo fece assemblando una serie di brani dai testi complessi e ben poco accondiscendenti nei confronti delle radio. Se a questo aggiungiamo un atteggiamento distaccato e supponente durante le interviste, ecco servito il cocktail per il suicidio commerciale.

E difatti Junge Roemer, secondo disco d’inediti di Falco, si rivelò un flop clamoroso, che portò addirittura all’annullamento delle date del tour promozionale. Non solo per le scarse vendite ma per le pessime condizioni di Falco, perennemente fatto, ubriaco o entrambe le cose.

Distrutto dall’insuccesso, il musicista decise di staccare la spina, trascorrendo una lunga vacanza in Thailandia con gli amici più cari, nel tentativo di ritrovare un poco di equilibrio e pace interiore, a cui seguì un periodo lontano dalle scene.

Quando, dopo qualche anno, fu pronto a tornare, il manager Horst Bork gli presentò i fratelli Bolland, due produttori olandesi che avevano ottenuto un paio di clamorose hit e collaborato con Samanta Fox e Amy Stewart. Il mondo li avrebbe ricordati per In The Army Now che qualche anno dopo gli Status Quo portarono al successo.

L’incontrò partì male, perché la prima canzone che i due sottoposero a Falco fu un delirante pezzo sul suo più celebre concittadino: il compositore Wofang Amadeus Mozart.

Manco morto” rispose lui “è come se a voi chiedessero di realizzare una canzone sugli zoccoli e i mulini a vento perché siete olandesi” fu la piccata risposta di Falco.

Eppure l’idea che un moderno rivoluzionario del pop viennese raccontasse il geniale concittadino che rivoluzionò la musica classica non era niente male. In più il film biografico su Amadeus di Milos Forman, uscito solo un anno prima, con una regia moderna, quasi pop, aveva ottenuto un successo clamoroso, facendo incetta di premi e statuette.

E così alla fine Falco cedette e all’interno del disco con cui si stava giocando tutto – l’impareggiabile Falco 3, quello che contiene la scabrosa e bellissima Jeanny, Vienna Calling e Munich Girls, stramba rivisitazione di un pezzo dei Cars – accettò di inserire anche quello strano brano, che nel frattempo aveva mutato il suo titolo in Rock Me Amadeus, che la casa discografica scelse come primo singolo.

E ciao. Primo in classifica, ovunque, pure in America, con un remix del brano ironicamente chiamato Rock Me Amadeus – The Salieri Version, che superò Kiss di Prince. Ma ve lo ricordate il video? Con Falco vestito da Mozart e i motociclisti barbuti a creare quell’incredibile dicotomia con l’ambientazione settecentesca.

Falco 3 spopolò ovunque e Hansi finì addirittura ad aprire il festival nazionale di musica classica di Vienna davanti a oltre sessantamila persone. Impensabile per un cantante pop, ma non per Falco, che al momento era l’artista austriaco più venduto e apprezzato al mondo.

Un successo di gran lunga superiore a quello già fragoroso ottenuto ai tempi di Der Kommissar, di quelli in cui sali così tanto in alto che poi puoi solo scendere.

E infatti da lì in aventi la carriera di Falco non toccò più certe vette, nemmeno lontanamente, e anche la sua vita privata finì per incasinarsi sempre di più. Certe hit spesso segnano negativamente una carriera, proprio perché sono irripetibili.

I suoi successivi quattro dischi, registrati fra il 1986 e il 1992, vendettero bene solo nella sua Austria, dove ormai era una sorta di divinità, ma andarono male nelle altre parti del mondo e Falco ne soffrì tantissimo.

Tra un insuccesso, una pista di cocaina e una bottiglia di champagne, trovò conforto fra le braccia di Isabella Viktovic, biondissima ex miss Stiria che incontrò una sera in un bar di Graz, perdendo definitivamente la testa.

Era il mio tipo ideale: alta, bionda e con la tubercolosi” la descrisse Falco col suo immancabile sarcasmo.

Dalla Viktovic, che sposò nel 1988, ebbe l’amata figlia Katharina Bianca, da cui prese la forza per tentare di smetterla con alcool e droga. Ma durò poco. Ben presto la storia con Isabella naufragò malamente, i due si separarono e dopo qualche anno Falco scoprì, con grande tristezza, che la piccola, che ormai aveva sette anni, non era figlia sua.

Deluso, triste, indurito dalla vita, Falco lasciò l’Europa e si trasferì a Santo Domingo, cercando al caldo dei Caraibi un po’ di quella serenità perduta. Prima di andarsene, però, aprì un libretto di risparmi a nome della piccola Kathrina, da cui la ragazza avrebbe potuto attingere compiuti i diciotto anni.

Nonostante il paradiso in cui si era trasferito, Falco non la smise con la sua vita dissoluta, che si spense a San Felice de Puerto Plata, quando a un incrocio, mentre era alla guida della sua jeep Mitsubishi Pajero si scontrò contro un autobus, morendo sul colpo.

Nel suo sangue vennero trovate tracce di cocaina, alcol e marijuana.

Nel 1982, ai tempi del successo del commissario, aveva dichiarato a un giornalista di voler morire in un incidente d’auto, come James Dean. Una macabra quanto profetica dichiarazione.

Una morte su cui non mancarono le speculazioni, qualcuno arrivò persino a parlare di un possibile suicidio. Secondo alcuni testimoni, infatti, il suo fuoristrada venne travolto proprio mentre Hansi si stava immettendo a folle velocità in carreggiata senza guardare, quasi volesse farla finita.

Sia quel che sia, il 6 febbraio del 1998, ad appena quarantun anni, finisce la vita di Falco e inizia la sua leggenda. Riportato in Austria con un volo privato della Lauda Air – Nikki Lauda stesso era grande amico di Falco e aveva dato il suo nome a un aereo – l’autore di Rock Me Amadeus ebbe un funerale degno di un principe, con la bara trasportata dal gruppo di barbuti motociclisti che tredici anni prima erano apparsi nel celebre video.

Per non parlare della sua tomba, posta nel cimitero di Vienna, poco distante dagli illustri compositori del passato. Una tomba tutto fuorché sobria, con una statua di Falco che allarga le braccia sopra la lapide come fossero ali. Probabilmente lui l’avrebbe adorata. Anzi, la adora. Perché lui è ancora fra noi. Come recita mil titolo di uno struggente brano inedito rinvenuto dopo la sua scomparsa: Lo spirito non muore.

E ora apriamo le ali e voliamo.

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