di Federico Traversa
Pineta di Arenzano, riviera ligure. È un caldo ma non afoso pomeriggio d’estate e sono seduto nel patio della casa di Giulio Cesare Giacobbe.
Alla mia destra un Buddha di teak ci osserva benevolo, mentre due grossi alberi ombreggiano una bella fetta di giardino.
Come concordato, oggi inizia la mia intervista col “Buddha”.
Un po’ emozionato, d’altronde non mi capita tutti i giorni di raffrontarmi con personaggi storici, parto con la prima domanda: il motivo per cui soffriamo.
È incredibile se ci pensiamo, ma di persone completamente serene, al mondo, se ne incontrano veramente poche. Anche chi ha tutto, ma proprio tutto, è solito lamentarsi perché gli manca qualcosa.
Ricordo che da piccolo notai questa perenne insoddisfazione negli adulti e feci una specie di sondaggio per cercare di comprenderne il motivo. Evidentemente avevo l’indole del curioso rompiscatole già allora.
Per alcuni mesi domandai a qualsiasi adulto incontrassi se fosse felice o meno. E tutti mi rispondevano con una certa sincerità. Vai a capire perché: sarà stata l’innocenza dei miei otto anni. Ebbene non ne trovai uno che mi dicesse: “Sì, sono felice, sereno e appagato”.
A tutti mancava qualcosa, oppure avevano paura di perdere quello che avevano faticosamente ottenuto. Desideri inappagati e paura di eventuali mancanze. A volte entrambi. Da uscirne pazzi.
Per questo, sebbene la mia prima domanda al Prof potrà a una prima occhiata sembrare banale, a ben vedere non lo è per niente. L’uomo si picchia con questa risposta da quando ancora si aggirava per la giungla con una clava in mano mentre la moglie rassettava la grotta che, si sa, i pipistrelli portano malattie.
Dunque… perché soffriamo?
Secondo il Buddha si soffre per un errore di conoscenza, perché si crede che esistano cose che rimangono uguali a se stesse nel tempo.
Si crede permanente ciò che in realtà è impermanente: la mamma sempre affettuosa e piena d’amore; il marito sempre fedele e innamorato; il conto in banca sempre in attivo, la moglie sempre servizievole e disponibile; la salute sempre perfetta, i figli sempre rispettosi e obbedienti.
La realtà è che non esistono cose, persone o situazioni che rimangono uguali a se stesse.
Noi non viviamo in un universo statico ma in un universo dinamico, dove tutto cambia continuamente.
Credere nella permanenza ci porta a soffrire perché conduce a uno scontro continuo con la realtà, una realtà che ci mette di fronte al fatto che niente è per sempre.
E allora soffriamo.
L’unico modo per non soffrire è accettare il cambiamento.
Accettare il mondo com’è, diverso in ogni momento.
Il segreto della felicità è molto semplice: godersi quello che c’è e non pretendere quello che non c’è.
Però non lo fa nessuno.
Quindi sono tutti infelici.
Se seguissimo tutti l’insegnamento del Buddha, ciò non accadrebbe.
Bisogna accettare l’impermanenza.
Certo, l’impermanenza ci obbliga ad accettare la mancanza di punti di riferimento.
Occorre non essere attaccati a nulla, essere capaci di vivere nell’attimo, nel qui ed ora.
È il “carpe diem” di Orazio.
Per alcuni è dura, lo so.
Per quelli che sono abituati ad accumulare beni, che vivono in funzione del futuro, è molto difficile vivere nel qui ora.
Ma è possibile.
Vi sono persone che lo fanno naturalmente.
Che in modo naturale accettano la realtà e la sua precarietà.
Basta imitarle.
Il lasciarsi andare alla realtà, smetterla di rifiutarla, anzi ammirarla, goderla, è il segreto della felicità.
Certo, so che si può obiettare che nella realtà c’è l’ingiustizia e che il non ribellarsi all’ingiustizia comporta la rinuncia a voler cambiare il mondo, alla rivoluzione.
Ma qui non parliamo di rivoluzione sociale, bensì di rivoluzione individuale.
Il buddhismo non è fatto per i rivoluzionari, per i condottieri, per i conquistatori.
Il buddhismo è fatto per la gente comune.
Per la gente che soffre e che non vuole soffrire più.
Che vuole essere felice.
Vuoi essere felice?
Vuoi rivoluzionare la tua vita?
Non la società ma la tua vita.
Accetta la realtà.
E il suo continuo cambiamento.
Tratto da Intervista Col Buddha di Federico Traversa, edito da Edizioni il Punto d’Incontro
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