di Federico Traversa
Lo scorso 30 ottobre sono passati vent’anni. Vent’anni esatti dal brutale assassinio di James Mizell, per tutti Jam Master Jay, il cervello del gruppo rap più celebre della storia: i Run DMC.
C’è stato un periodo in cui l’hip hop era davvero qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Parliamo di parecchio tempo prima dell’avvento dei vari Eminem, Jay-Z, Kanye West e compagnia. E un po’ prima pure di Pac, Snoop e Biggie. Il nostro viaggio nella storia delle rime parte infatti più lontano, per la precisione nella New York dei primi anni Ottanta, quella di un trio di ragazzi afroamericani dallo stile tirato e potente. Tre pazzi scatenati dal look strano, che indossano cappelli Fedora, tute da ginnastica e Adidas senza lacci in onore dei detenuti, a cui i lacci delle scarpe vengono sequestrati dalle guardie prima di essere assegnati alle loro celle. Il trio in questione si chiama Run DMC ed è stato uno dei primi gruppi rap ad affermarsi e far muovere il culo al grande pubblico, rappresentando un autentico prototipo tanto del rap impegnato, quanto del gangsta rap e del crossover.
Il gruppo è composto da due MC: Run, al secolo Joseph Simmons, e DMC, al secolo Darryl McDaniels, a cui successivamente si aggiunge il DJ Jason Mizzell, per tutti Jam Master Jay.
Ed è proprio con l’ingresso di quest’ultimo che il gruppo fa il botto. Jay è uno dei pionieri dello scratch ma non solo: è anche un musicista. Un musicista vero. Ha suonato sia il basso che la batteria in diversa garage band e con i Run DMC ama sbizzarrirsi alla tastiera.
Nel 1983 il trio pubblica il suo primo singolo, It’s Like That, e il successo è inaspettato quanto clamoroso. Il brano raggiunge la top 20 della classifica Billboard dedicata ai dischi R’N’B.
Dopo l’uscita di Hard Times, una traccia celebrativa dedicata all’abilità ai piatti di Jam Master Jay, nel 1984 esce la storica Rock Box, il cui video è il primo di un pezzo hip hop a venire trasmesso da MTV. Il brano contiene pesanti riff di chitarra che indicano inequivocabilmente la passione del gruppo per il crossover. Con simili premesse non sorprende che l’omonimo “Run DMC”, album d’esordio del trio, sia il primo disco rap a vincere il disco d’oro.
Il successivo “King of Rock”, pubblicato nel 1985, fa dei Run DMC i rapper più popolari e influenti degli Stati Uniti. Come suggerisce il titolo, il gruppo ama far confluire riff di chitarre elettriche e pesanti fill di batteria nei propri lavori, il che per i tempi è qualcosa di assolutamente rivoluzionario. Seppur ormai famosissimi e apprezzati, i Run DMC entrano nella leggenda solo grazie al successivo lavoro, “Raising Hell”, uno dei dischi rap più famosi di sempre. Partiamo dal primo singolo, My Adidas, dedicato alla loro marca di calzature preferita. Questa canzone storicamente cambierà tante cose. Tanto per cominciare, da quel momento le Adidas diventano un accessorio obbligatorio per gli appassionati del genere hip hop, ma non è tutto: la canzone è il primo esempio di completa identificazione dei rapper con un capo d’abbigliamento o una marca di calzature, soluzione che negli anni verrà ripetuta da tanti MC fino a diventare consuetudine. Al punto da far drizzare le orecchie alle aziende citate nelle canzoni, che cominceranno a lanciare gli stessi rapper di successo come stilisti di una propria linea d’abbigliamento. E saranno sonanti denari.
Ma la massima popolarità per Jay e soci arriva con un altro immortale passaggio: Walk this Way, una cover realizzata a modo loro dell’omonimo pezzo degli Aerosmith. Incisa proprio con Steven Tyler e Joe Perry, la canzone diventa il primo successo crossover della storia, rivitalizzando la carriera agli Aerosmith, che all’epoca stavano attraversando un periodo di declino e problemi personali importanti. Walk This Way spopola sulla neonata MTV riportando la rock band di Boston al centro del music business e nel cuore della gente. In quanto ai Run DMC è l’apoteosi: “Raising Hell” si porta a casa tre dischi di platino e diventa il più grande successo del trio newyorkese.
Ormai conosciuti e apprezzati in tutto il mondo i tre partono per un lungo tour nei palazzetti. E iniziano ad arrivare i problemi. Prima due bande rivali si scontrano a un loro concerto in una rissa furibonda che lascia sul campo oltre quaranta feriti. Qualche settimana dopo, sempre durante un loro concerto, un uomo uccide un ventunenne con un calcio in testa. La polizia sostiene che l’assassino sia un membro della security dei Run DMC. Il gruppo smentisce categoricamente rigettando ogni accusa ma il danno è fatto. I media iniziano ad attaccare il trio, reo di comporre musica violenta e inadatta al grande pubblico di giovanissimi che compra i loro dischi. Seguono anni difficili per il gruppo, con dischi meno ispirati, problemi di alcol e droghe, dissapori interni e distrazioni varie. All’infelice quadretto si aggiungono parecchie disavventure legali: Simmons viene accusato di aver violentato una ragazza mentre McDaniels sprofonda completamente nell’alcolismo.
L’unico a mantenere un profilo basso e lontano dagli scandali è proprio Jam Master Jay, che approfitta del periodo di pausa con il gruppo per fondare la Jam Master Jay Record, con cui si dà un gran da fare per lanciare nuovi rapper di successo.
Dopo una pausa e un necessario chiarimento, i Run DMC tornano in pista nel 1993 pubblicando l’album “Down with the King” che ottiene l’ennesimo disco d’oro. Seguiranno altri dischi, alcuni di successo altri meno fortunati, esperienze soliste, riconoscimenti vari e tanto amore da parte del pubblico per un gruppo che attraversa gli anni ‘90 come una vera e propria leggenda del rap a stelle e strisce, a cui chiunque desideri cimentarsi col genere deve pagare dazio. Delle star che nel 2002 hanno l’onore di lasciare le loro impronte nella Rock and Roll Hall of Fame, come segno della loro influenza sulla storia della musica. Così, mentre la raccolta “High Profile/The Original Rhymes” ne celebra la carriera, i Run DMC partono in tour con gli Aerosmith e Kid Rock e pensano a un nuovo disco d’inediti. Dopo i problemi del passato tutto sembra filare finalmente liscio, sereno, alla grande. Non c’è una nuvola all’orizzonte ma solo un futuro ricco di successi da scrivere.
Poi però ammazzano Jam Master Jay e tutto finisce, rapido come era iniziato. È il 30 ottobre del 2002 e sono le 19:30. Jay è nel suo studio di registrazione di Merrick Blvd, nel Queens, a New York, a lavorare ad alcune basi. Dopo aver sputato sangue su dei campionamenti decide di rilassarsi giocando alla PlayStation con l’amico Uriel “Tony” Rincon.
Jay è armato quella notte, la sua pistola è sul divano mentre i due giocano a Madden NFL 2002. Ma poi Lydia High, l’assistente di Jay, entra nella stanza per discutere alcune cose e quando vede la pistola, chiede al boss di farla sparire perché le fa impressione.
All’improvviso due persone entrano nello studio. Una volta dentro tirano fuori le pistole e iniziano a far fuoco. Rincon viene colpito alla gamba sinistra. Jam Master Jay non è così fortunato: una pallottola gli si conficca in testa.
Secondo quanto raccontato da Rincon al New York Daily News, un momento prima dell’aggressione il suo cellulare squilla. Mentre si allunga dietro il divano per recuperarlo, riferisce di aver sentito dei passi. Con le spalle alla porta, sente Jay esclamare: “Oh merda!”, e poi risuonano due spari. Uno colpisce Rincon alla gamba e l’altro Jay alla testa, ferendolo a morte.
“Sapevo che [Jay] se n’era andato. Non si muoveva, niente”.
Rincon non vede la faccia dell’assassino ma insiste sul fatto che Jay deve averlo riconosciuto, altrimenti non lo avrebbe fatto avvicinare così tanto. “Se ci fosse stata animosità immediata o se ci fosse stato un problema, non sarebbero stati così vicini”, ha concluso Rincon. “Vorrei aver visto… Ho detto alla [polizia] tutto quello che potevo. Vorrei poter dire loro di più”.
E così finisce la vita di Jason Mizzell, per tutti Jam Master Jay. Aveva appena 37 anni. E così finisce pure la corsa dei Run DMC che, privati della loro anima strumentale, decidono di sciogliere la band.
Sì, ma chi ha sparato? E soprattutto perché?
Perché dopo Tupac e Notorious un altro gigante del rap viene fatto fuori in quel modo? Due teorie, entrambe possibili, vanno per la maggiore.
Partiamo dalla prima.
Qualche anno prima dell’omicidio di JMJ, un giovane rapper sta facendo parlare parecchio di sé nel Queens. È uno spacciatore dalla famiglia disgraziata che però ha un flow potentissimo. Si chiama Curtis James Jackson III. A Jay quel ragazzo piace parecchio e lo mette sotto contratto con la sua etichetta. Però il giovane ha un problema: nelle sue demo fa nomi e cognomi di gente della strada che sarebbe meglio non pronunciare mai. Gente che ha in mano tanto il giro della musica rap quanto quello della droga, che spesso coincidono nel ghetto. Ma Curtis se ne frega e rappa di tutto, senza censure. Parla pure di Kenneth “Supreme” McGriff, il boss della zona, un criminale con interessi nella musica e un giro di crack da svariati bigliettoni. La cosa al boss non piace per niente e nel 2000 fa sparare a Curtis una gragnola di pallottole per farlo fuori. Ma il giovane non muore e, dopo essere stato in bilico fra la vita e la morte, torna a rappare ancora più duro di prima. Si dà anche un nuovo nome d’arte, 50 Cent, che è esattamente il costo delle pallottole che lo hanno quasi ucciso.
Supreme non ne è contento e, mentre pianifica un nuovo attentato al rapper, lancia l’ordine a tutti i produttori della zona di fargli terra bruciata intorno e non lavorare più con lui. Ma Jam Master Jay si ribella. 50 Cent ha talento, è un cavallo di razza e lui vuole continuare a produrlo. A questo punto Supreme ordina l’omicidio del DJ dei Run DMC. Storia finita. Un’ipotesi possibile ma assai poco probabile in quanto 50 Cent ha lasciato la JamMaster Jay Records da ben due anni per accasarsi alla Columbia (che ben presto lascerà per unirsi alla Shady Records di Eminem, con la quale otterrà successo planetario) ed è difficile pensare a una ritorsione di Supreme verso Mizell dopo così tanto tempo.
Ora la seconda ipotesi. Nel corso delle indagini portate avanti dalla polizia, Lydia High identifica uno dei due assalitori. Si tratta di Ronald Washington, un noto criminale che in seguito verrà arrestato per rapina e confiderà di aver preso parte all’omicidio di Mizell su commissione. Ma chi è il mandante? Secondo il New York Daily Ness sarebbe il produttore Curtis Scoon, un amico di JMJ. Il motivo alla base del gesto sarebbe in un debito che il DJ non ha saldato. Scoon, tuttavia, nega il proprio coinvolgimento e gli inquirenti non trovano indizi contro di lui. Altri sostengono invece che JMJ sarebbe stato tradito dai suoi stessi amici presenti in studio, ma nessuna prova in questo senso è mai emersa e si resta nel campo delle semplici illazioni.
La svolta arriva solo nel 2020, quando il procuratore capo del distretto orientale di New York incrimina formalmente due uomini: Karl Jordan Jr. e Ronald Washington, già reo confesso, per l’omicidio di Jam Master Jay.
Secondo la tesi accusatoria, poco tempo prima di essere ucciso il musicista avrebbe acquistato un grosso quantitativo di cocaina a fini di spaccio insieme a Jordan, Washington e altre persone di cui non si conoscono le generalità. Per motivi non chiariti, Jay avrebbe poi deciso di escludere Washington dall’affare, e questo avrebbe portato all’omicidio. Nello specifico, a sparare il colpo fatale sarebbe stato Jordan.
“Era importante per noi allora e rimane estremamente importante per noi oggi fare giustizia per la vittima, la sua famiglia, gli amici e la comunità che si è preoccupata così tanto di quegli eventi”, ha detto in conferenza stampa il procuratore Seth D. Du Charme, aggiungendo che le forze dell’ordine non hanno mai smesso di lavorare a quello che veniva definito a tutti gli effetti un cold case.
E così, forse, lo spirito di Jam Master Jay trova finalmente un po’ di pace.
* Il pezzo che avete appenna letto è tratto dal mio libro “Rap criminale – Tupac, Biggie e gli altri martiri del gangsta rap”. Chi è interessato può acquistarlo a questo link: https://amzn.to/3wCNgps